di Helmut Failoni
Quando fa la sua comparsa in scena, sembra che si sia materializzato improvvisamente e d’incanto, provenendo dall’altrove. è come se fosse uscito da una pagina di Wilhelm Wackenroder o sgattaiolato di nascosto fuori da un quadro di Caspar Friedrich. Teodor Currentzis è il prototipo di un romantico ricontestualizzato nei nostri anni, ma ancora in perenne contrasto fra infinito e finito, fra musica e vita, fra idealismo e materialità. Un romantico, ma non solo. Perché dietro quegli occhi che guidano da antico condottiero i musicisti e i coristi della sua MusicAeterna (compagine fondata nel gelo siberiano di Novosibirsk nel 2004: osservateli ancora oggi sul palco: sembrano pronti a buttarsi nel fuoco pur di seguirlo), si muove la furia espressiva ed espressionista di un Novecento incandescente, strattonato da una dall’agit-prop e, dall’altra, da quell’urlo informale che si porta l’anarchia nel cuore e nell’anima. E che, come un fiume carsico, appare e scompare, ma lascia però sempre dietro di sé un segno indelebile.
Currentzis non imita nessuno: ‘Il mio maestro Ilya Musin, (docente cult che ha «formato», giusto per intenderci, bacchette come Temirkanov, Gergiev e Bychkov), mi ha reso sicuro di me stesso, delle cose in cui credo. E poi mi ha insegnato a lasciare sempre uno spazio alla fantasia’). Currentzis fa suonare i musicisti – ad eccezione dei violoncelli e dei contrabbassi – in piedi. ‘Per fare fluire meglio la musica’, dice. Per sentirla. E, a volte capita anche (è il caso del suo progetto sulle musiche di Rameau), che li faccia danzare seguendo i passi autentici dell’epoca. ‘Il 50% della musica è danza’, dichiara con disarmante naturalezza. ‘Però nessuno danza più oggi’. Ma lui sì. Diventa un tutt’uno con la musica che di volta in volta sceglie di dirigere. La fa sua. La possiede. Con forza e veemenza. Ne imbeve le mura delle sale da concerto. La fa sua schiava e ne diventa a sua volta schiavo, in un rapporto do ut des di potenza tellurica.
Nell’immaginario di chi segue le faccende musicali e ha cominciato a sentire parlare di lui sempre più insistentemente, Teodor (che porta lo stesso nome/variazione del regista visionario Angelopoulos, che lo volle accanto a Willem Dafoe per il film uscito poi postumo Dust of Time: ma non se ne fece nulla per la morte del cineasta) è il direttore che proviene da qualche (poco nota) terra lontana, sperduta e ignota (avete letto per caso quel capolavoro che è Epepe di Ferenc Karinthy, celebrato anche da Emmanuel Carrère?) e dove il pensiero occidentale cede il passo a quello orientale. Con Currentzis entriamo in una no man’s land dove la musica può creare frutti nuovi, appetitosi e inaspettati. La verità è che Teodor Currentzis, fieramente greco fino al midollo (‘Io penso, conto e sogno in greco’ dice), vive un una sua no man’s land (mentale) e si definisce anche Dreamer of Dreams, sognatore di sogni. Quando gli chiedi cosa pensa del suo Paese, fatto di mare blu e case bianche, che sta però colando a picco negli irraggiungibili abissi dell’Egeo, lui risponde, spiazzando il proprio interlocutore che «nella storia, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, noi greci abbiamo sempre saputo reagire e rialzarci». E se avrete la fortuna di parlare di lui di poesia ellenica, magari di quella che lui stesso definisce «intraducibile» di un gigante come Odisseas Elytis, vi renderete facilmente conto della sua autentica grecità, che possiede e condivide, lì in fondo al quadro del nostro sguardo, qualcosa della profondità obliqua dell’Hölderlin che viveva con un’inquietudine romantica il suo rapporto con l’antica Grecia.
di Helmut Failoni
Quando fa la sua comparsa in scena, sembra che si sia materializzato improvvisamente e d’incanto, provenendo dall’altrove. è come se fosse uscito da una pagina di Wilhelm Wackenroder o sgattaiolato di nascosto fuori da un quadro di Caspar Friedrich. Teodor Currentzis è il prototipo di un romantico ricontestualizzato nei nostri anni, ma ancora in perenne contrasto fra infinito e finito, fra musica e vita, fra idealismo e materialità. Un romantico, ma non solo. Perché dietro quegli occhi che guidano da antico condottiero i musicisti e i coristi della sua MusicAeterna (compagine fondata nel gelo siberiano di Novosibirsk nel 2004: osservateli ancora oggi sul palco: sembrano pronti a buttarsi nel fuoco pur di seguirlo), si muove la furia espressiva ed espressionista di un Novecento incandescente, strattonato da una dall’agit-prop e, dall’altra, da quell’urlo informale che si porta l’anarchia nel cuore e nell’anima. E che, come un fiume carsico, appare e scompare, ma lascia però sempre dietro di sé un segno indelebile.
Currentzis non imita nessuno: ‘Il mio maestro Ilya Musin, (docente cult che ha «formato», giusto per intenderci, bacchette come Temirkanov, Gergiev e Bychkov), mi ha reso sicuro di me stesso, delle cose in cui credo. E poi mi ha insegnato a lasciare sempre uno spazio alla fantasia’). Currentzis fa suonare i musicisti – ad eccezione dei violoncelli e dei contrabbassi – in piedi. ‘Per fare fluire meglio la musica’, dice. Per sentirla. E, a volte capita anche (è il caso del suo progetto sulle musiche di Rameau), che li faccia danzare seguendo i passi autentici dell’epoca. ‘Il 50% della musica è danza’, dichiara con disarmante naturalezza. ‘Però nessuno danza più oggi’. Ma lui sì. Diventa un tutt’uno con la musica che di volta in volta sceglie di dirigere. La fa sua. La possiede. Con forza e veemenza. Ne imbeve le mura delle sale da concerto. La fa sua schiava e ne diventa a sua volta schiavo, in un rapporto do ut des di potenza tellurica.
Nell’immaginario di chi segue le faccende musicali e ha cominciato a sentire parlare di lui sempre più insistentemente, Teodor (che porta lo stesso nome/variazione del regista visionario Angelopoulos, che lo volle accanto a Willem Dafoe per il film uscito poi postumo Dust of Time: ma non se ne fece nulla per la morte del cineasta) è il direttore che proviene da qualche (poco nota) terra lontana, sperduta e ignota (avete letto per caso quel capolavoro che è Epepe di Ferenc Karinthy, celebrato anche da Emmanuel Carrère?) e dove il pensiero occidentale cede il passo a quello orientale. Con Currentzis entriamo in una no man’s land dove la musica può creare frutti nuovi, appetitosi e inaspettati. La verità è che Teodor Currentzis, fieramente greco fino al midollo (‘Io penso, conto e sogno in greco’ dice), vive un una sua no man’s land (mentale) e si definisce anche Dreamer of Dreams, sognatore di sogni. Quando gli chiedi cosa pensa del suo Paese, fatto di mare blu e case bianche, che sta però colando a picco negli irraggiungibili abissi dell’Egeo, lui risponde, spiazzando il proprio interlocutore che «nella storia, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, noi greci abbiamo sempre saputo reagire e rialzarci». E se avrete la fortuna di parlare di lui di poesia ellenica, magari di quella che lui stesso definisce «intraducibile» di un gigante come Odisseas Elytis, vi renderete facilmente conto della sua autentica grecità, che possiede e condivide, lì in fondo al quadro del nostro sguardo, qualcosa della profondità obliqua dell’Hölderlin che viveva con un’inquietudine romantica il suo rapporto con l’antica Grecia.
di Helmut Failoni
Quando fa la sua comparsa in scena, sembra che si sia materializzato improvvisamente e d’incanto, provenendo dall’altrove. è come se fosse uscito da una pagina di Wilhelm Wackenroder o sgattaiolato di nascosto fuori da un quadro di Caspar Friedrich. Teodor Currentzis è il prototipo di un romantico ricontestualizzato nei nostri anni, ma ancora in perenne contrasto fra infinito e finito, fra musica e vita, fra idealismo e materialità. Un romantico, ma non solo. Perché dietro quegli occhi che guidano da antico condottiero i musicisti e i coristi della sua MusicAeterna (compagine fondata nel gelo siberiano di Novosibirsk nel 2004: osservateli ancora oggi sul palco: sembrano pronti a buttarsi nel fuoco pur di seguirlo), si muove la furia espressiva ed espressionista di un Novecento incandescente, strattonato da una dall’agit-prop e, dall’altra, da quell’urlo informale che si porta l’anarchia nel cuore e nell’anima. E che, come un fiume carsico, appare e scompare, ma lascia però sempre dietro di sé un segno indelebile.
Currentzis non imita nessuno: ‘Il mio maestro Ilya Musin, (docente cult che ha «formato», giusto per intenderci, bacchette come Temirkanov, Gergiev e Bychkov), mi ha reso sicuro di me stesso, delle cose in cui credo. E poi mi ha insegnato a lasciare sempre uno spazio alla fantasia’). Currentzis fa suonare i musicisti – ad eccezione dei violoncelli e dei contrabbassi – in piedi. ‘Per fare fluire meglio la musica’, dice. Per sentirla. E, a volte capita anche (è il caso del suo progetto sulle musiche di Rameau), che li faccia danzare seguendo i passi autentici dell’epoca. ‘Il 50% della musica è danza’, dichiara con disarmante naturalezza. ‘Però nessuno danza più oggi’. Ma lui sì. Diventa un tutt’uno con la musica che di volta in volta sceglie di dirigere. La fa sua. La possiede. Con forza e veemenza. Ne imbeve le mura delle sale da concerto. La fa sua schiava e ne diventa a sua volta schiavo, in un rapporto do ut des di potenza tellurica.
Nell’immaginario di chi segue le faccende musicali e ha cominciato a sentire parlare di lui sempre più insistentemente, Teodor (che porta lo stesso nome/variazione del regista visionario Angelopoulos, che lo volle accanto a Willem Dafoe per il film uscito poi postumo Dust of Time: ma non se ne fece nulla per la morte del cineasta) è il direttore che proviene da qualche (poco nota) terra lontana, sperduta e ignota (avete letto per caso quel capolavoro che è Epepe di Ferenc Karinthy, celebrato anche da Emmanuel Carrère?) e dove il pensiero occidentale cede il passo a quello orientale. Con Currentzis entriamo in una no man’s land dove la musica può creare frutti nuovi, appetitosi e inaspettati. La verità è che Teodor Currentzis, fieramente greco fino al midollo (‘Io penso, conto e sogno in greco’ dice), vive un una sua no man’s land (mentale) e si definisce anche Dreamer of Dreams, sognatore di sogni. Quando gli chiedi cosa pensa del suo Paese, fatto di mare blu e case bianche, che sta però colando a picco negli irraggiungibili abissi dell’Egeo, lui risponde, spiazzando il proprio interlocutore che «nella storia, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, noi greci abbiamo sempre saputo reagire e rialzarci». E se avrete la fortuna di parlare di lui di poesia ellenica, magari di quella che lui stesso definisce «intraducibile» di un gigante come Odisseas Elytis, vi renderete facilmente conto della sua autentica grecità, che possiede e condivide, lì in fondo al quadro del nostro sguardo, qualcosa della profondità obliqua dell’Hölderlin che viveva con un’inquietudine romantica il suo rapporto con l’antica Grecia.
di Helmut Failoni
Quando fa la sua comparsa in scena, sembra che si sia materializzato improvvisamente e d’incanto, provenendo dall’altrove. è come se fosse uscito da una pagina di Wilhelm Wackenroder o sgattaiolato di nascosto fuori da un quadro di Caspar Friedrich. Teodor Currentzis è il prototipo di un romantico ricontestualizzato nei nostri anni, ma ancora in perenne contrasto fra infinito e finito, fra musica e vita, fra idealismo e materialità. Un romantico, ma non solo. Perché dietro quegli occhi che guidano da antico condottiero i musicisti e i coristi della sua MusicAeterna (compagine fondata nel gelo siberiano di Novosibirsk nel 2004: osservateli ancora oggi sul palco: sembrano pronti a buttarsi nel fuoco pur di seguirlo), si muove la furia espressiva ed espressionista di un Novecento incandescente, strattonato da una dall’agit-prop e, dall’altra, da quell’urlo informale che si porta l’anarchia nel cuore e nell’anima. E che, come un fiume carsico, appare e scompare, ma lascia però sempre dietro di sé un segno indelebile.
Currentzis non imita nessuno: ‘Il mio maestro Ilya Musin, (docente cult che ha «formato», giusto per intenderci, bacchette come Temirkanov, Gergiev e Bychkov), mi ha reso sicuro di me stesso, delle cose in cui credo. E poi mi ha insegnato a lasciare sempre uno spazio alla fantasia’). Currentzis fa suonare i musicisti – ad eccezione dei violoncelli e dei contrabbassi – in piedi. ‘Per fare fluire meglio la musica’, dice. Per sentirla. E, a volte capita anche (è il caso del suo progetto sulle musiche di Rameau), che li faccia danzare seguendo i passi autentici dell’epoca. ‘Il 50% della musica è danza’, dichiara con disarmante naturalezza. ‘Però nessuno danza più oggi’. Ma lui sì. Diventa un tutt’uno con la musica che di volta in volta sceglie di dirigere. La fa sua. La possiede. Con forza e veemenza. Ne imbeve le mura delle sale da concerto. La fa sua schiava e ne diventa a sua volta schiavo, in un rapporto do ut des di potenza tellurica.
Nell’immaginario di chi segue le faccende musicali e ha cominciato a sentire parlare di lui sempre più insistentemente, Teodor (che porta lo stesso nome/variazione del regista visionario Angelopoulos, che lo volle accanto a Willem Dafoe per il film uscito poi postumo Dust of Time: ma non se ne fece nulla per la morte del cineasta) è il direttore che proviene da qualche (poco nota) terra lontana, sperduta e ignota (avete letto per caso quel capolavoro che è Epepe di Ferenc Karinthy, celebrato anche da Emmanuel Carrère?) e dove il pensiero occidentale cede il passo a quello orientale. Con Currentzis entriamo in una no man’s land dove la musica può creare frutti nuovi, appetitosi e inaspettati. La verità è che Teodor Currentzis, fieramente greco fino al midollo (‘Io penso, conto e sogno in greco’ dice), vive un una sua no man’s land (mentale) e si definisce anche Dreamer of Dreams, sognatore di sogni. Quando gli chiedi cosa pensa del suo Paese, fatto di mare blu e case bianche, che sta però colando a picco negli irraggiungibili abissi dell’Egeo, lui risponde, spiazzando il proprio interlocutore che «nella storia, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, noi greci abbiamo sempre saputo reagire e rialzarci». E se avrete la fortuna di parlare di lui di poesia ellenica, magari di quella che lui stesso definisce «intraducibile» di un gigante come Odisseas Elytis, vi renderete facilmente conto della sua autentica grecità, che possiede e condivide, lì in fondo al quadro del nostro sguardo, qualcosa della profondità obliqua dell’Hölderlin che viveva con un’inquietudine romantica il suo rapporto con l’antica Grecia.
di Helmut Failoni
Quando fa la sua comparsa in scena, sembra che si sia materializzato improvvisamente e d’incanto, provenendo dall’altrove. è come se fosse uscito da una pagina di Wilhelm Wackenroder o sgattaiolato di nascosto fuori da un quadro di Caspar Friedrich. Teodor Currentzis è il prototipo di un romantico ricontestualizzato nei nostri anni, ma ancora in perenne contrasto fra infinito e finito, fra musica e vita, fra idealismo e materialità. Un romantico, ma non solo. Perché dietro quegli occhi che guidano da antico condottiero i musicisti e i coristi della sua MusicAeterna (compagine fondata nel gelo siberiano di Novosibirsk nel 2004: osservateli ancora oggi sul palco: sembrano pronti a buttarsi nel fuoco pur di seguirlo), si muove la furia espressiva ed espressionista di un Novecento incandescente, strattonato da una dall’agit-prop e, dall’altra, da quell’urlo informale che si porta l’anarchia nel cuore e nell’anima. E che, come un fiume carsico, appare e scompare, ma lascia però sempre dietro di sé un segno indelebile.
Currentzis non imita nessuno: ‘Il mio maestro Ilya Musin, (docente cult che ha «formato», giusto per intenderci, bacchette come Temirkanov, Gergiev e Bychkov), mi ha reso sicuro di me stesso, delle cose in cui credo. E poi mi ha insegnato a lasciare sempre uno spazio alla fantasia’). Currentzis fa suonare i musicisti – ad eccezione dei violoncelli e dei contrabbassi – in piedi. ‘Per fare fluire meglio la musica’, dice. Per sentirla. E, a volte capita anche (è il caso del suo progetto sulle musiche di Rameau), che li faccia danzare seguendo i passi autentici dell’epoca. ‘Il 50% della musica è danza’, dichiara con disarmante naturalezza. ‘Però nessuno danza più oggi’. Ma lui sì. Diventa un tutt’uno con la musica che di volta in volta sceglie di dirigere. La fa sua. La possiede. Con forza e veemenza. Ne imbeve le mura delle sale da concerto. La fa sua schiava e ne diventa a sua volta schiavo, in un rapporto do ut des di potenza tellurica.
Nell’immaginario di chi segue le faccende musicali e ha cominciato a sentire parlare di lui sempre più insistentemente, Teodor (che porta lo stesso nome/variazione del regista visionario Angelopoulos, che lo volle accanto a Willem Dafoe per il film uscito poi postumo Dust of Time: ma non se ne fece nulla per la morte del cineasta) è il direttore che proviene da qualche (poco nota) terra lontana, sperduta e ignota (avete letto per caso quel capolavoro che è Epepe di Ferenc Karinthy, celebrato anche da Emmanuel Carrère?) e dove il pensiero occidentale cede il passo a quello orientale. Con Currentzis entriamo in una no man’s land dove la musica può creare frutti nuovi, appetitosi e inaspettati. La verità è che Teodor Currentzis, fieramente greco fino al midollo (‘Io penso, conto e sogno in greco’ dice), vive un una sua no man’s land (mentale) e si definisce anche Dreamer of Dreams, sognatore di sogni. Quando gli chiedi cosa pensa del suo Paese, fatto di mare blu e case bianche, che sta però colando a picco negli irraggiungibili abissi dell’Egeo, lui risponde, spiazzando il proprio interlocutore che «nella storia, nel momento in cui il coltello è arrivato a toccare l’osso, noi greci abbiamo sempre saputo reagire e rialzarci». E se avrete la fortuna di parlare di lui di poesia ellenica, magari di quella che lui stesso definisce «intraducibile» di un gigante come Odisseas Elytis, vi renderete facilmente conto della sua autentica grecità, che possiede e condivide, lì in fondo al quadro del nostro sguardo, qualcosa della profondità obliqua dell’Hölderlin che viveva con un’inquietudine romantica il suo rapporto con l’antica Grecia.